Kamala
2014-08-04 07:49:56 UTC
Visto che ieri ho tediato con querule e inutili richieste d'aiuto i tre
frequentatori di questo ameno cenacolo, oggi voglio riscattarmi
condividendo con voi un dramma che mi attanaglia da tempo.
La prima volta fu un quarto di secolo fa circa: normalmente mi capitava
e mi succede tuttora di fare il caffè: quando viene più forte, quando
meno, ma - casi eccezionali a parte - preparo un caffè discreto.
In quel pomeriggio di circa venticinque anni fa, un mio caro zio passò a
casa nostra, come talvolta succedeva, e si intrattenne a chiacchierare
con noi. Al momento di preparare il caffè all'ospite familiare, anziché
delegare come sempre a mia madre il piacere di preparare il caffè, mi
offrii io.
Ricordo ancora la faccia di mio zio dopo il primo sorso; al secondo,
aprì bocca e, ridacchiando, pronunciò la seguente frase: "Hai paura che
mi si scuotano i nervi?"
Era il suo modo per dirmi che il caffè era troppo leggero: "acqua
celletta", si dice dalle mie parti; "acqua sporca", nel resto dello
Stivale.
Ecco: è da allora che ho il terrore di preparare il caffè agli ospiti.
Non c'è verso: se lo faccio per me e i componenti della mia famiglia
nucleare viene con gradazioni dall'accettabile all'ottimo; se c'è un
ospite, chiunque esso sia, si rischia la catastrofe nucleare.
L'ultima, poco fa: abbiamo dei lavori in casa e oggi si presenta il
tizio che dà il cambio a colui che ha lavorato qui fino a tre giorni fa
(che fortunatamente non ha beccato il caffè da me); conosco il tipo da
una vita: nell'adolescenza si è frequentata la stessa comitiva.
[Questo dato non aggiunge nulla di fondamentale alla narrazione, ma lo
scrivo in quanto aumenta in me il senso della vergogna]
Appena è entrato, si fanno due parole sulle cose da fare, e poi mia
madre propone il caffè; lui accetta entusiasta.
A quel punto, con una spontaneità di cui non mi pentirò mai abbastanza,
mi offro volontaria e preparo la mitica macchinetta.
Verso il caffè a lui e me ne metto un goccetto per me, giusto per
verificare la resa (ho uno strano presentimento): ecco, non credo di
aver mai bevuto una cosa così cattiva.
Magari fosse stato acqua celletta!
No, era una roba indecente, dal sapore oscillante tra l'acido e il
bruciaticcio; ho sperato che lui avvertisse meno il disastro, dal
momento che a differenza mia beve il caffè zuccherato, ma ho notato una
strana smorfia sul suo volto e una notevole lentezza nel sorbire il
contenuto della tazzina.
Sono affranta, anche perché succede *sempre*, per quanto con gradazioni
oscillanti tra l'imbevibile e il poco gradevole.
Da che dipenderà?
Eppure la macchinetta è quella, il caffè che usiamo è di buona qualità,
e a me sembra di farlo sempre nella stessa maniera.
Possibile che la nostra psiche incida così sulla qualità di una bevanda?
frequentatori di questo ameno cenacolo, oggi voglio riscattarmi
condividendo con voi un dramma che mi attanaglia da tempo.
La prima volta fu un quarto di secolo fa circa: normalmente mi capitava
e mi succede tuttora di fare il caffè: quando viene più forte, quando
meno, ma - casi eccezionali a parte - preparo un caffè discreto.
In quel pomeriggio di circa venticinque anni fa, un mio caro zio passò a
casa nostra, come talvolta succedeva, e si intrattenne a chiacchierare
con noi. Al momento di preparare il caffè all'ospite familiare, anziché
delegare come sempre a mia madre il piacere di preparare il caffè, mi
offrii io.
Ricordo ancora la faccia di mio zio dopo il primo sorso; al secondo,
aprì bocca e, ridacchiando, pronunciò la seguente frase: "Hai paura che
mi si scuotano i nervi?"
Era il suo modo per dirmi che il caffè era troppo leggero: "acqua
celletta", si dice dalle mie parti; "acqua sporca", nel resto dello
Stivale.
Ecco: è da allora che ho il terrore di preparare il caffè agli ospiti.
Non c'è verso: se lo faccio per me e i componenti della mia famiglia
nucleare viene con gradazioni dall'accettabile all'ottimo; se c'è un
ospite, chiunque esso sia, si rischia la catastrofe nucleare.
L'ultima, poco fa: abbiamo dei lavori in casa e oggi si presenta il
tizio che dà il cambio a colui che ha lavorato qui fino a tre giorni fa
(che fortunatamente non ha beccato il caffè da me); conosco il tipo da
una vita: nell'adolescenza si è frequentata la stessa comitiva.
[Questo dato non aggiunge nulla di fondamentale alla narrazione, ma lo
scrivo in quanto aumenta in me il senso della vergogna]
Appena è entrato, si fanno due parole sulle cose da fare, e poi mia
madre propone il caffè; lui accetta entusiasta.
A quel punto, con una spontaneità di cui non mi pentirò mai abbastanza,
mi offro volontaria e preparo la mitica macchinetta.
Verso il caffè a lui e me ne metto un goccetto per me, giusto per
verificare la resa (ho uno strano presentimento): ecco, non credo di
aver mai bevuto una cosa così cattiva.
Magari fosse stato acqua celletta!
No, era una roba indecente, dal sapore oscillante tra l'acido e il
bruciaticcio; ho sperato che lui avvertisse meno il disastro, dal
momento che a differenza mia beve il caffè zuccherato, ma ho notato una
strana smorfia sul suo volto e una notevole lentezza nel sorbire il
contenuto della tazzina.
Sono affranta, anche perché succede *sempre*, per quanto con gradazioni
oscillanti tra l'imbevibile e il poco gradevole.
Da che dipenderà?
Eppure la macchinetta è quella, il caffè che usiamo è di buona qualità,
e a me sembra di farlo sempre nella stessa maniera.
Possibile che la nostra psiche incida così sulla qualità di una bevanda?
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